In questi giorni si parla molto del nuovo libro di Nadia Toffa e delle sue parole in merito al cancro, definito come “un dono”. Capisco benissimo l’esigenza di scrivere, il bisogno di gridare al mondo come ci si sente. Tutto questo lo capisco davvero. Ho deciso di aprire il mio blog proprio durante la malattia di mio padre: per parlarne, per sfogarmi, per rileggermi, per capire. Le parole di Nadia Toffa però non mi sono piaciute. Nessuna malattia è uguale all’altra proprio come ogni persona è diversa e assolutamente unica. E’ sinceramente ammirevole riuscire a reagire alla notizia di una malattia con il sorriso e con uno spirito battagliero e positivo, ma non sempre questo è possibile.
E chi non ce la fa?
Le parole di Nadia Toffa mi sono sembrate quasi un’accusa nei confronti di quei malati che non considerano il cancro un dono e che non riescono a sorriderne. Così come non ne sorridono i loro familiari. Penso a quando i medici ti dicono che non ci sono speranze, a quando la malattia diventa invalidante, a quando non ti permette neanche di andare in bagno da solo. A quando nonostante le cure, le parole, gli abbracci e sorrisi, sai che sta per finire tutto. Il cancro ha mille forme diverse, è subdolo e quando pensi di averlo “addormentato”, magari si sta solo preparando a colpirti di nuovo. Non riuscirò mai a considerarlo come un dono. E sono sicura che anche mio padre avrebbe preferito non riceverne uno di questo tipo, per quanto lo abbia combattuto con coraggio.

Mio padre da giovane
La vita è un dono, il cancro è una merda
La vita è un dono, la buona salute è una benedizione, il cancro è una merda. E dobbiamo avere il coraggio di riconoscerlo, così come di combatterlo con tutte le nostre forze quando ci colpisce. Ma il coraggio da solo purtroppo non basta così come purtroppo, ancora troppo spesso, non bastano le cure mediche. Guarire dal cancro è un dono, quello sì. Sono certa che affrontare una malattia o viverla attraverso un familiare sia qualcosa che ti porta a riflettere moltissimo, così come è successo a me. Il cancro di mio padre prima e la sua morte dopo mi hanno insegnato tanto, ma sono lezioni che avrei preferito non imparare. Da quando lui non c’è più cerco di godermi ogni momento della mia vita, provo a non perdere tempo in cose che non mi rendono felice, tento di arrabbiarmi di meno, di dare il giusto peso ad ogni cosa e via dicendo. Un sacco di lezioni importanti insomma, ma non c’è giorno in cui non cambierei tutto quello che ho imparato per avere indietro mio padre, per non doverlo ricordare consumato dalla malattia, invalido, paralizzato nel suo letto e pieno di dolori. Auguro davvero a Nadia Toffa di guarire presto e del tutto, e ammiro il suo spirito combattivo e battagliero ma il cancro non è un dono. E’ una sfiga mostruosa e vaffanculo, spero di non averci mai più a che fare!
Il cancro e la morte di mio padre
Mio padre è morto di giovedì, il 14 dicembre 2017, alle 9.15 del mattino di un qualsiasi giovedì. Il cancro, un glioma cerebrale scoperto a settembre del 2016, ha deciso che fosse giunto il momento di farla finita. E’ stato molto rapido in effetti. Le condizioni di papà si sono aggravate martedì sera, mercoledì era semiparalizzato e mentre i medici disponevano il trasferimento in una struttura più idonea ad accoglierlo, il suo tumore ha messo tutti noi di fronte al fatto che non avremmo avuto altro tempo. Durante la notte c’è stata una crisi cardiorespiratoria. Quando è arrivata l’ambulanza papà non era più cosciente. Non si è più svegliato. Non voleva essere ricoverato e possiamo consolarci pensando che in fondo se ne sia andato a casa sua, così come voleva. Anche se questa è solo una magra consolazione perché, diciamolo, chi è che vuole davvero andarsene?
Nonostante il cancro non si vive pensando alla morte
Mio padre sarebbe arrabbiatissimo per la sua morte. Nonostante il cancro non la considerava affatto, non pensava mai alla signora con la falce, anzi. Era pieno di progetti e sogni, alcuni buffi e davvero irrealizzabili; ci faceva ridere sotto i baffi ogni volta che ne parlava. Era sicuro che avrebbe vinto un premio Nobel per una strampalata idea contro la nebbia e che avrebbe presto pubblicato un libro di favole per bambini, riprendendo quelle che aveva scritto quando eravamo piccoli per convincerci a mangiare le verdure.
La morte è uno schiaffo in faccia
Sono stata la prima a sapere della sua morte ed è toccato a me comunicarlo agli altri. Sono arrivata in ospedale ed è stato strano, in effetti. Quando la dottoressa mi ha detto che papà era morto le ho risposto solo che non mi sentivo di vederlo da sola e che avrei aspettato il resto della famiglia. Non mi sembrava la realtà. Era come essere al cinema e vedere tutto sul maxischermo. Sono uscita dal pronto soccorso, ho pianto in mezzo ad un gruppo di estranei silenziosi e poi piano piano ho avvisato gli altri. Sono arrivati tutti e non ci sono state parole, solo abbracci e qualche lacrima. Poi gli amici da avvisare, le decisioni da prendere, il funerale da organizzare con un protocollo tutto suo, la camera ardente e il resto. La verità è che quasi non riesci a pensarci, alla morte intendo, fino a diversi giorni dopo.

Papà amava il mare e andare in barca a vela
Che succede dopo la morte di una persona?
Ti chiamano mille persone, ti arrivano tantissimi messaggi e alla fine ripeti le stesse cose a tutti, a volte sei perfino tu a consolare gli altri. I giorni passano e solo quando la vita normale riprende e torni al lavoro, ti rendi conto che c’è qualcosa di diverso. Che manca qualcosa che non avrai più indietro e che, nonostante la morte, la vita va avanti lo stesso. Questa cosa mi fa impazzire. Si torna tutti a fare le cose che si facevano prima, anche a sorridere come prima. Solo una cosa è diversa. Sento un nodo in gola che non riesco a mandare giù.
Una vita che finisce e la vita che va avanti lo stesso
Quando sono sola e mi fermo un attimo il pensiero torna a papà e piango per la sua vita che non c’è più, penso a quello che non ha avuto modo di godersi e a tutto quello che avrebbe voluto fare e che non ha fatto. Mi salgono la rabbia e la tristezza e non ho modo di far nulla se non sfogarmi con il pianto. Mi vengono in mente i giochi che si inventava quando eravamo bambini per farci passare il tempo. Per noi e con noi costruiva case di cartone e aquiloni di carta velina: ci voleva un giorno per farli e 5 minuti scarsi di volo prima di vederli distrutti dal vento. Penso alle sue passioni e al perché, a un certo punto della sua vita, abbia smesso di coltivarle. Mi chiedo perché non sia mai venuto a vedermi giocare a pallavolo (ero anche brava, in effetti). Sarebbe stato bello, almeno ogni tanto, trovarlo sugli spalti insieme agli altri genitori.

Papà nel suo ufficio
Le domande che rimarranno senza risposta
Il mio è stato un padre molto divertente quando eravamo bambini e molto lontano e assente nell’adolescenza. L’ho riscoperto durante un viaggio di lavoro a New York nel 2003, io avevo 25 anni: l’ho visto insieme ai suoi colleghi ed amici e ho capito perché lo amassero tanto. Ancora una volta però mi sono chiesta come mai in famiglia non fosse così com’era con gli altri, un leader spiritoso e allegro. Oggi comunque tutto questo ha poco senso e le domande resteranno senza risposta. Mi rimane solo questa a cui cercare di trovarne una corretta: quando muore una persona, qual è il modo giusto di ricordarla?
Ci sono molti modi per ricordare una persona.
Sono cresciuta nel negozio dei miei nonni e mio nonno quando è andato via, così all’improvviso, mi ha lasciato senza fiato.
Non c’è un giorno in cui non pensi a mio nonno o che non lo ricordi con piacere.
Alla fine ho deciso di tatuarmi sul polso quella sua ultima frase che mi disse inconsapevoli del fatto che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro.
Un abbraccio cara.
Grazie di aver condiviso con me questo ricordo Anto!
A volte mi manca il fiato, a volte sorrido pensando a mio padre. In fondo ritrovo tante cose e ricordi di lui ogni volta che ho bisogno di sentirlo vicino, anche se non è la stessa cosa. Un abbraccio a te!
Ciao, so che si prova, sia sulla propria pelle; che a perdere una persona cara.
Io ricordo il colpo di tosse di mio padre, e ogni tanto il suo profumo aleggia nell’aria.
Non sono un’amante dei cimiteri, mi mettono tristezza, mentre se ricordo papà, ho il sorriso sulle labbra, nonostante tutto.
Non ci sono ricette per ricordare o per dimenticare, ti auguro soltanto di non pensarlo soffrendo
Ti ringrazio Miky! Ci sto provando, non è sempre facile ma quando arriva un ricordo che mi fa sorridere certo di tenerlo con me più a lungo possibile. Un abbraccio a te 🙂
Ognuno ha il suo modo, nella mia famiglia, per esempio, siamo molto “cinici” e ci capita spesso di ricordare i nostri cari con battute sarcastiche su i loro difetti o su come reagirebbero alle cose che ci capitano. Questa cosa non è capita da tutti, quando è capitato che qualcuna delle nostre battute venisse fuori davanti a persone non della famiglia siamo stati guardati come mostri insensibili ma è il nostro modo di voler bene a chi non c’è più, forse il nostro sarcasmo è solo un modo per mettere spazio fra noi e la morte, fra noi e la tristezza. Questo modo di ricordare chi non c’è entra il ballo soprattutto quando parliamo di mio nonno, lui è morto quando mia madre aveva 26 anni e io 10 mesi. Io non lo ricordo ma so che è stato brutto per tutti e adesso ricordiamo il mio nonno un po’ pazzerello con le nostre battute sceme e un po’ cattivelle e a me sembra che sia giusto e bello volergli bene così ?
Grazie Elena 🙂
Sai che questo capita anche a noi? Ogni tanto con i miei fratelli escono fuori dei ricordi buffi o qualcosa che comunque ci fa ridere di gusto. Al funerale di mio padre ho letto una lettera che avevo scritto, scegliendo di parlare dei suoi pregi e di prenderlo in giro per i suoi difetti, le sue fissazioni e stranezze. Hai ragione, anche questo è un modo per volergli bene da lontano e continuare a sentirlo vicino. Un abbraccio