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Emozioni

Quando il cancro si è portato via mio padre. E dopo?

By Gennaio 30, 2018Settembre 26th, 20188 Comments

In questi giorni si parla molto del nuovo libro di Nadia Toffa e delle sue parole in merito al cancro, definito come “un dono”. Capisco benissimo l’esigenza di scrivere, il bisogno di gridare al mondo come ci si sente. Tutto questo lo capisco davvero. Ho deciso di aprire il mio blog proprio durante la malattia di mio padre: per parlarne, per sfogarmi, per rileggermi, per capire. Le parole di Nadia Toffa però non mi sono piaciute. Nessuna malattia è uguale all’altra proprio come ogni persona è diversa e assolutamente unica. E’ sinceramente ammirevole riuscire a reagire alla notizia di una malattia con il sorriso e con uno spirito battagliero e positivo, ma non sempre questo è possibile.

E chi non ce la fa?

Le parole di Nadia Toffa mi sono sembrate quasi un’accusa nei confronti di quei malati che non considerano il cancro un dono e che non riescono a sorriderne. Così come non ne sorridono i loro familiari. Penso a quando i medici ti dicono che non ci sono speranze, a quando la malattia diventa invalidante, a quando non ti permette neanche di andare in bagno da solo. A quando nonostante le cure, le parole, gli abbracci e sorrisi, sai che sta per finire tutto. Il cancro ha mille forme diverse, è subdolo e quando pensi di averlo “addormentato”, magari si sta solo preparando a colpirti di nuovo. Non riuscirò mai a considerarlo come un dono. E sono sicura che anche mio padre avrebbe preferito non riceverne uno di questo tipo, per quanto lo abbia combattuto con coraggio.

Giovani sul molo di un porto

Mio padre da giovane

La vita è un dono, il cancro è una merda

La vita è un dono, la buona salute è una benedizione, il cancro è una merda. E dobbiamo avere il coraggio di riconoscerlo, così come di combatterlo con tutte le nostre forze quando ci colpisce. Ma il coraggio da solo purtroppo non basta così come purtroppo, ancora troppo spesso, non bastano le cure mediche. Guarire dal cancro è un dono, quello sì. Sono certa che affrontare una malattia o viverla attraverso un familiare sia qualcosa che ti porta a riflettere moltissimo, così come è successo a me. Il cancro di mio padre prima e la sua morte dopo mi hanno insegnato tanto, ma sono lezioni che avrei preferito non imparare. Da quando lui non c’è più cerco di godermi ogni momento della mia vita, provo a non perdere tempo in cose che non mi rendono felice, tento di arrabbiarmi di meno, di dare il giusto peso ad ogni cosa e via dicendo. Un sacco di lezioni importanti insomma, ma non c’è giorno in cui non cambierei tutto quello che ho imparato per avere indietro mio padre, per non doverlo ricordare consumato dalla malattia, invalido, paralizzato nel suo letto e pieno di dolori. Auguro davvero a Nadia Toffa di guarire presto e del tutto, e ammiro il suo spirito combattivo e battagliero ma il cancro non è un dono. E’ una sfiga mostruosa e vaffanculo, spero di non averci mai più a che fare!

Il cancro e la morte di mio padre

Mio padre è morto di giovedì, il 14 dicembre 2017, alle 9.15 del mattino di un qualsiasi giovedì. Il cancro, un glioma cerebrale scoperto a settembre del 2016, ha deciso che fosse giunto il momento di farla finita. E’ stato molto rapido in effetti. Le condizioni di papà si sono aggravate martedì sera, mercoledì era semiparalizzato e mentre i medici disponevano il trasferimento in una struttura più idonea ad accoglierlo, il suo tumore ha messo tutti noi di fronte al fatto che non avremmo avuto altro tempo. Durante la notte c’è stata una crisi cardiorespiratoria. Quando è arrivata l’ambulanza papà non era più cosciente. Non si è più svegliato. Non voleva essere ricoverato e possiamo consolarci pensando che in fondo se ne sia andato a casa sua, così come voleva. Anche se questa è solo una magra consolazione perché, diciamolo, chi è che vuole davvero andarsene?

Nonostante il cancro non si vive pensando alla morte

Mio padre sarebbe arrabbiatissimo per la sua morte. Nonostante il cancro non la considerava affatto, non pensava mai alla signora con la falce, anzi. Era pieno di progetti e sogni, alcuni buffi e davvero irrealizzabili; ci faceva ridere sotto i baffi ogni volta che ne parlava. Era sicuro che avrebbe vinto un premio Nobel per una strampalata idea contro la nebbia e che avrebbe presto pubblicato un libro di favole per bambini, riprendendo quelle che aveva scritto quando eravamo piccoli per convincerci a mangiare le verdure.

La morte è uno schiaffo in faccia

Sono stata la prima a sapere della sua morte ed è toccato a me comunicarlo agli altri. Sono arrivata in ospedale ed è stato strano, in effetti. Quando la dottoressa mi ha detto che papà era morto le ho risposto solo che non mi sentivo di vederlo da sola e che avrei aspettato il resto della famiglia. Non mi sembrava la realtà. Era come essere al cinema e vedere tutto sul maxischermo. Sono uscita dal pronto soccorso, ho pianto in mezzo ad un gruppo di estranei silenziosi e poi piano piano ho avvisato gli altri. Sono arrivati tutti e non ci sono state parole, solo abbracci e qualche lacrima. Poi gli amici da avvisare, le decisioni da prendere, il funerale da organizzare con un protocollo tutto suo, la camera ardente e il resto. La verità è che quasi non riesci a pensarci, alla morte intendo, fino a diversi giorni dopo.

uomo giovane barca a vela

Papà amava il mare e andare in barca a vela

Che succede dopo la morte di una persona?

Ti chiamano mille persone, ti arrivano tantissimi messaggi e alla fine ripeti le stesse cose a tutti, a volte sei perfino tu a consolare gli altri. I giorni passano e solo quando la vita normale riprende e torni al lavoro, ti rendi conto che c’è qualcosa di diverso. Che manca qualcosa che non avrai più indietro e che, nonostante la morte, la vita va avanti lo stesso. Questa cosa mi fa impazzire. Si torna tutti a fare le cose che si facevano prima, anche a sorridere come prima. Solo una cosa è diversa. Sento un nodo in gola che non riesco a mandare giù.

Una vita che finisce e la vita che va avanti lo stesso

Quando sono sola e mi fermo un attimo il pensiero torna a papà e piango per la sua vita che non c’è più, penso a quello che non ha avuto modo di godersi e a tutto quello che avrebbe voluto fare e che non ha fatto. Mi salgono la rabbia e la tristezza e non ho modo di far nulla se non sfogarmi con il pianto. Mi vengono in mente i giochi che si inventava quando eravamo bambini per farci passare il tempo. Per noi e con noi costruiva case di cartone e aquiloni di carta velina: ci voleva un giorno per farli e 5 minuti scarsi di volo prima di vederli distrutti dal vento. Penso alle sue passioni e al perché, a un certo punto della sua vita, abbia smesso di coltivarle. Mi chiedo perché non sia mai venuto a vedermi giocare a pallavolo (ero anche brava, in effetti). Sarebbe stato bello, almeno ogni tanto, trovarlo sugli spalti insieme agli altri genitori.

Uomo in ufficio

Papà nel suo ufficio

Le domande che rimarranno senza risposta

Il mio è stato un padre molto divertente quando eravamo bambini e molto lontano e assente nell’adolescenza. L’ho riscoperto durante un viaggio di lavoro a New York nel 2003, io avevo 25 anni: l’ho visto insieme ai suoi colleghi ed amici e ho capito perché lo amassero tanto. Ancora una volta però mi sono chiesta come mai in famiglia non fosse così com’era con gli altri, un leader spiritoso e allegro. Oggi comunque tutto questo ha poco senso e le domande resteranno senza risposta. Mi rimane solo questa a cui cercare di trovarne una corretta: quando muore una persona, qual è il modo giusto di ricordarla?

8 Comments

  • Friariella ha detto:

    Ci sono molti modi per ricordare una persona.
    Sono cresciuta nel negozio dei miei nonni e mio nonno quando è andato via, così all’improvviso, mi ha lasciato senza fiato.
    Non c’è un giorno in cui non pensi a mio nonno o che non lo ricordi con piacere.
    Alla fine ho deciso di tatuarmi sul polso quella sua ultima frase che mi disse inconsapevoli del fatto che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro.
    Un abbraccio cara.

    • Misa ha detto:

      Grazie di aver condiviso con me questo ricordo Anto!
      A volte mi manca il fiato, a volte sorrido pensando a mio padre. In fondo ritrovo tante cose e ricordi di lui ogni volta che ho bisogno di sentirlo vicino, anche se non è la stessa cosa. Un abbraccio a te!

  • Miky ha detto:

    Ciao, so che si prova, sia sulla propria pelle; che a perdere una persona cara.
    Io ricordo il colpo di tosse di mio padre, e ogni tanto il suo profumo aleggia nell’aria.
    Non sono un’amante dei cimiteri, mi mettono tristezza, mentre se ricordo papà, ho il sorriso sulle labbra, nonostante tutto.
    Non ci sono ricette per ricordare o per dimenticare, ti auguro soltanto di non pensarlo soffrendo

    • Misa ha detto:

      Ti ringrazio Miky! Ci sto provando, non è sempre facile ma quando arriva un ricordo che mi fa sorridere certo di tenerlo con me più a lungo possibile. Un abbraccio a te 🙂

  • Elena ha detto:

    Ognuno ha il suo modo, nella mia famiglia, per esempio, siamo molto “cinici” e ci capita spesso di ricordare i nostri cari con battute sarcastiche su i loro difetti o su come reagirebbero alle cose che ci capitano. Questa cosa non è capita da tutti, quando è capitato che qualcuna delle nostre battute venisse fuori davanti a persone non della famiglia siamo stati guardati come mostri insensibili ma è il nostro modo di voler bene a chi non c’è più, forse il nostro sarcasmo è solo un modo per mettere spazio fra noi e la morte, fra noi e la tristezza. Questo modo di ricordare chi non c’è entra il ballo soprattutto quando parliamo di mio nonno, lui è morto quando mia madre aveva 26 anni e io 10 mesi. Io non lo ricordo ma so che è stato brutto per tutti e adesso ricordiamo il mio nonno un po’ pazzerello con le nostre battute sceme e un po’ cattivelle e a me sembra che sia giusto e bello volergli bene così ?

    • Misa ha detto:

      Grazie Elena 🙂
      Sai che questo capita anche a noi? Ogni tanto con i miei fratelli escono fuori dei ricordi buffi o qualcosa che comunque ci fa ridere di gusto. Al funerale di mio padre ho letto una lettera che avevo scritto, scegliendo di parlare dei suoi pregi e di prenderlo in giro per i suoi difetti, le sue fissazioni e stranezze. Hai ragione, anche questo è un modo per volergli bene da lontano e continuare a sentirlo vicino. Un abbraccio

  • Ivan ha detto:

    Ciao, non so se leggi o continui ad alimentare il blog, ma ho letto la storia di tuo padre e della sua malattia e mi sono sentito toccato dalle tue parole, anche perché sotto molti punti di vista condivido le tue stesse sensazioni. Ho perso mio padre 2 mesi fa per un tumore al colon con metastasi al fegato a 64 anni. Hai ragione, il cancro è uno schifo, nel nostro caso ha costretto una persona e la sua famiglia a scoprire nel natale del 2019 (4 anni fa) di avere un male allo stadio terminale, senza possibilità di guarigione. La migliore prospettiva era quella di seguire cure palliative e “lentamente consumarsi”.
    Il colloquio con gli oncologi è stato come un tuffo dagli scogli; come figlio non potevo accettare di veder morire mio padre e restare a guardare. Abbiamo girato per l’Italia, parlato con luminari, seguito terapie sperimentali, tutto per cercare di rubare quanto più tempo possibile alla malattia e per quasi 3 anni, sembrava funzionare. Mio padre, persona piena di vita, scherzosa ed irriverente al punto giusto ha imparato a vivere giorno per giorno ed affrontare la malattia guardandola negli occhi, avendo con se il supporto di moglie e figli. Purtroppo, dopo 4 anni di lotta e dopo oltre 50 chemio, cominciava a diventare giorno dopo giorno più debole e malaticcio. Il corpo non era più in grado di sopportare quel veleno e le cure non funzionavano più . Lentamente ha smesso di mangiare, togliendo via via alcuni alimenti dalla sua quotidianità, il fegato ormai completamente distrutto e tempestato di tumori. Malgrado il dolore quotidiano, i 3 mesi di alimentazione solo liquida, lui cercava di restare lucido e lo è restato fino all’ultimo giorno, quando ha chiesto a tutta la famiglia (cane compreso) di stare con lui. Purtroppo un’emorragia interna determinata dal ristagno di liquidi nel fegato e nell’addome alla fine lo ha fatto collassare, dopo un inutile corsa in ospedale. È finito tutto così, nemmeno il tempo di salutarlo e di piangere in maniera riservata che bisognava avvertire i familiari, preparare funerale, parlare con il prete ed il cimitero (situazione davvero irreale). Come te, ho dovuto quasi confortare amici e parenti (le mie lacrime le ho consumate già tutte nel corso dei 4 anni di malattia) e poi 3 giorni dopo….si torna in ufficio, in una maniera talmente cinica e spietata che è impossibile spiegare. Forse il lavoro mi ha fatto bene, ma nei momenti di solitudine ho dovuto fare i conti con questa pesantissima assenza e con uno strano senso di colpa. Mi sono sentito in colpa di aver ricominciato a vivere.
    Il cancro fa davvero schifo, ringrazio però di aver avuto 4 anni di tempo per godermi mio padre e per cercare di essere il miglior figlio del mondo. Un mese prima di morire papà voleva fare una vacanza con me e comprare un gommone nuovo per andare a pescare. Ho capito che aveva più energia vitale lui da malato che io a 36 anni. Ho giurato che avrei provato di essere sotto alcuni punti di vista un po’ più simile a lui, cercando di vivere al massimo ogni giorno non arrabbiandomi per sciocchezze e dimenticando il giudizio altrui. La vita, come dicevi tu, quella è davvero un gran regalo e non va sprecata.
    Stasera ho cercato su google qualcuno che avesse vissuto una storia simile alla mia…perché ne avevo semplicemente bisogno.
    Ciao, comincerò a seguirti.

    • Misa ha detto:

      Ciao Ivan,
      grazie per avermi letta e per aver condiviso la tua storia con me. Mi hai commossa molto e fatto tornare sù tante sensazioni legate alla morte di mio padre e a quella di due cari amici che purtroppo ho perso tra il 2020 e il 2021 per la stessa ragione. Ogni tanto mi consola pensare che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, e cerco di vedere segnali e messaggi nelle cose belle che ho intorno. Non è sempre facile però, ci vuole tempo e anche la forza di andare in fondo al proprio lutto, senza aver paura di stare male. Con noi stessi non ha senso mentire o nascondere la propria sofferenza.
      Nell’aprire del 2021 è morta Francesca Barbieri, sui social conosciuta come Fraintesa per via della sua attività come blogger. Era una mia amica e ha lasciato nel mondo un’impronta fortissima, se la cerchi troverai molte testimonianze su di lei. Negli utlimi mesi della sua vita ha scritto un libro, si chiama “Vivi ogni giorno come se fosse il primo”. Ti consiglio di leggerlo (il ricavato della vendita va interamente alla ricerca contro il cancro), penso possa aiutare anche te a sopravvivere (non credo si possa dire “superare”) alla morte di una persona cara. Ti abbraccio e grazie ancora per avermi scritto, continua a farlo se ti va!

      Misa

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