È successo anche a me: ho scelto di dare le dimissioni e ho lasciato il mio lavoro, quello che avevo sempre sognato di fare. Secondo il Sole24ore in questi ultimi mesi circa due milioni di persone hanno fatto lo stesso. Le cause principali che, nonostante contigenze non proprio felici, stanno spingendo tanti a prendere una decisione simile sono l’assenza di meritocrazia, il contenuto del lavoro, i valori aziendali sbandierati ma continuamente disattesi. Motivazioni che hanno portato anche me, dopo un percorso estremamente doloroso, a fare i conti con una realtà che mi stava facendo solo del male: un posto dove l’obiettivo del management si è dimostrato essere quello di soffocare ogni talento e mortificare ogni competenza in nome dell’ubbidienza. Non sto scherzando: è quella che ci è stata esplicitamente richiesta in una grottesca riunione di pochi mesi fa.

Una parola orribile e che mi fa rabbrividire ma che i vigliacchi e gli ignavi ostentano con orgoglio, ben consci di non aver altri meriti da offrire. Provo pena per persone simili, costrette a nuotare ogni giorno in un’infinita miseria d’animo.
L’ubbidienza richiesta sul lavoro
In nome dell’ubbidienza, nel corso della storia, sono state fatte cose orribili. Mi vengono in mente ad esempio quegli alti gradi militari che di fronte ai tribunali internazionali hanno tentato di giustificare i crimini commessi usando proprio quel vincolo. E non è forse la stessa “qualità” che viene richiesta a chi entra a far parte di una setta? Può questa essere pretesa da un imprenditore nel 2022? Non dovrebbe desiderare invece dedizione e competenza da parte del proprio staff, piuttosto che voler mettere paura ai lavoratori? Possibile che non si comprenda ancora la differenza tra capo e leader? A malincuore, credetemi, mi sono dovuta arrendere al fatto che non sarebbe bastato dimostrare passione, responsabilità, etica e qualità nel mio lavoro per poter continuare a svolgerlo. Quella che si pretendeva era la cieca ubbidienza, quella e basta. Eppure ricordo che il Diritto Penale Internazionale ha sancito nettamente che, persino tra i militari, il dovere di obbedienza viene meno di fronte alla manifesta criminosità dell’ordine.

Ho pagato molto caro il mio scegliere di non arruolarmi nell’esercito dei lacchè dalla lingua appiccicosa e biforcuta. Non perché abbia scatenato la rivoluzione ma semplicemente per aver fatto presente come alcune richieste fossero contrarie alle nostre leggi o più banalmente, controproducenti per i risultati che, a parole, si desiderava ottenere. Mi è stata tolta la conduzione delle mie trasmissioni radio, prima quella del mattino (come avevo già raccontato qui) poi quella del preserale, e persino quella televisiva: sono stata messa in disparte senza nessuna motivazione, senza nessuna spiegazione o senza che in undici anni mi venisse mai presentata alcuna lamentela sullo svolgimento del mio lavoro. Al contrario io sì che avrò voglia, tempo e modo di spiegare per bene ogni dettaglio, presentarvi ogni protagonista di questa brutta storia alla quale si possono aggiungere ancora molti particolari, nomi e cognomi compresi. Tutto a tempo debito. Perché è giusto che ognuno si prenda le proprie responsabilità e perché non sono di certo io quella che ha qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi.
Dare le dimissioni dal lavoro per tutelare la mia salute
Una volta avvistato l’iceberg davanti alla nave e aver osservato il capitano continuare a gridare di mandare i motori al massimo, compreso che pur di dimostrarsi ubbidienti i vari ufficiali sarebbero riusciti a negare l’esistenza stessa del ghiaccio, ho detto basta. Ho preso la scialuppa e sono sbarcata. L’ho fatto per me, per tornare a dormire, recuperare il mio buon umore, ricominciare a mangiare; per non scoppiare in lacrime davanti al mio dentista quando mi saluta e mi chiede semplicemente “come stai?”, per salvarmi la salute, tornare a respirare a pieni polmoni. E nonostante tutto non è stata una scelta indolore. Ho pianto e inveito per molti mesi. La radio era il mio mondo e non avrei mai pensato di rinunciarci ma non potevo davvero permettere che quell’ambiente di lavoro altamente tossico mi facesse ammalare. Già so che mi mancheranno gli ascoltatori e il dialogo continuo che si era creato con loro, alcuni dei colleghi a cui sono particolarmente legata, l’adrenalina che sale prima della diretta. Agli altri, quelli talmente abituati a strisciare da dimenticarsi di non essere lombrichi e che hanno responsabilità molto gravi in questa storia, ricordo solo che come cantava De André provate pure a credervi assolti, siete lo stesso coinvolti.

Nel decidere di dare le dimissioni dal lavoro ho immaginato quello che mi avrebbe consigliato mio nonno. Ho ricordato quello che mi diceva Fraintesa. Ho ascoltato Il Pignolo, che ha avuto una pazienza monumentale nel sopportare ogni sera tutti i miei sfoghi, e i miei più cari amici. Persone che mi sono sempre state vicine dimostrando di credere in me anche quando io non lo facevo abbastanza, Anna e Mag in particolare. A tutte e a tutti voi voglio dire grazie perché se sono scesa da questa giostra perversa è merito vostro. Mi aspettano nuove avventure ed opportunità e ora so di essere più forte, perché voi siete accanto a me. Vi sono grata e vi voglio bene.
Nessun vento è favorevole per chi non sa dove andare ma, per noi che lo sappiamo, anche la brezza sarà preziosa
Rainer Maria Rilke